Allevare api che bastano a se stesse

L'ampia bibliografia esistente sull'apicoltura ispira tutto l'operato di APIANTIDE: sappiamo bene che le soluzioni al problema della moria delle api sono già note da molti anni.
Uno dei capisaldi, per chi si avvicina all'apicoltura, è di sicuro “Le API” di Alberto Contessi, un opera che tratta in maniera sistematica lo studio dell'allevamento razionale di questo insetto, edito negli anni settanta ma con ristampe annuali che comprendono anche l'ampio aspetto legislativo nazionale che regola l'attività dell'apicoltore. Contessi, nel trattare l'argomento della varroa, il principale nemico naturale dell'ape, oggi ormai endemico nelle arnie di tutto il paese, dichiara:

La chemioterapia può rappresentare solo una risposta immediata al problema, la soluzione definitiva potrà invece venire solo dalla lotta biologica e dalla selezione di api resistenti, ma nella fase attuale i trattamenti chimici sono un arma irrinunciabile, pena l'impossibilità di continuare a svolgere l'apicoltura a livello produttivo”

APIANTIDE, tra i suoi scopi sociali, non prevede l'apicoltura da reddito. Le api che abbiamo voluto ospitare nelle nostre arnie sono veri e propri elementi di studio, mirato alla proliferazione di insetti che siano più forti. Il nostro pensiero, coadiuvato dalle recenti pubblicazioni “eretiche” sull'apicoltura, vede parte del problema proprio nelle odierne tecniche di allevamento. Essendo finalizzate alla massimizzazione del reddito, la quasi totalità delle imprese apistiche, adotta esclusivamente l'utilizzo della chimica per mantenere sotto controllo il numero degli acari delle api, cosi come si sono nel tempo selezionate famiglie di api che hanno mostrato un istinto a sciamare molto limitato o magari un carattere più docile e che facilita il lavoro dell'apicultore. Questa selezione “finalizzata al massimo della resa economica” porta ogni anno all'acquisto di famiglie di insetti che vengono spedite in ogni luogo del paese per raggiungere le loro nuove arnie. Tale comportamento è fondamentale per dare continuità alla produzione razionale del miele e degli altri prodotti dell'alveare ma, allo stesso tempo, ha portato alla proliferazione di api “deboli”, costrette a vivere in aree totalmente differenti da quelle nelle quali sono state generate e che diventano facile prede degli acari. Pare che gli apicoltori non prestino abbastanza attenzione all'importanza del patrimonio genetico delle proprie regine: ogni insetto è intrinsecamente legato alla biodiversità del proprio territorio, quello che ha ospitato la famiglia genitrice e che le ha “assegnato” quel patrimonio genetico che rende le api “abruzzesi” diverse da quelle “lombarde” o quelle di ambienti lagunari diversi da quelle prealpine. Non tenere conto di questa ricchezza che l'ape porta con se ha, nel tempo, determinato areali dove gli insetti devono di continuo rinnovare le loro conoscenze sulle specie floreali e su un ambiente che spesso poco ha a che fare con quello di cui sono originarie e per il quale sono “geneticamente” meglio attrezzate.

Come associazione siamo attivamente impegnati a ripristinare un approccio più “primitivo”, “rudimentale” ma con un attenzione precisa ai rimedi più moderni. Lo studio, che ormai dura da secoli, sul mondo delle api non può essere ignorato e anzi, durante la nostra ricerca, sempre più spesso ci ritroviamo a vedere confermata la nostra visione in scritti che hanno anche un secolo di storia: ciò a significare che, il modo di essere utile all'ape, l'uomo lo ha sempre conosciuto, salvo arrivare poi a dimenticarsene in nome della produttività e del reddito.

 

 

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